Gioia e tenebre del sacro

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Gioia e tenebre del sacro

unionesarda012000 giugno 01 Giovedì

Gioia e tenebre del sacro.

Sarà stato lo spirito del Giubileo a soffiare nella devota anima del gallerista Peppino Floris l’idea di radunare i segni dell’arte sacra. Segni eloquenti e fra i più significativi della pittura sarda, con qualche vertice di rappresentazione scultorea. Quello che da sabato potrà vedersi nelle due sale della “Galleria 13”, in via XXVIII Febbraio a Cagliari, è un concentrato della forza arcana che l’esercizio artistico isolano rivela un po’ in tutte le epoche, attraverso correnti, forme e suggestioni differenti ma emotivamente comuni. La rassegna è tutt’altro che completa (ci vuol altro), ma sufficiente per comprendere quanto sia profonda la spiritualità nell’arte e quanto inafferrabile il concetto di sacralità: specie se trasferito dall’intimo all’esterno attraverso il filtro ottico. Che è comunque filtro di animo artistico. L’espressione di un Biasi non è ovviamente quella di un Sassu, ma viste l’una accanto all’altra manifestano l’umana mistica che tutti accomuna: ogni opera si ricollega all’eccezionalità, al meraviglioso, alla pietà, all’ancestrale paura dell’evento non contemplato nell’esistenziale. Esperienza estatica, esasperazione quasi patologica, necessità emblematica, esercizio intellettuale, motivazione etica. La definizione non può che essere approssimativa quando la sacra fames deve confrontarsi con la sua pretesa morfologia.

Così la percezione dell’artista può mostrarsi splendida oppure orrida agli occhi di chi deve recepire, realizzandosi in un’ambiguità che sfugge alla ragione. Al di là delle riflessioni cui la mostra induce, non resta che richiamare a una pacata visita in galleria. Allineando qui semplicemente nomi e intenti. Vi sono opere finite e vi sono studi e bozzetti di opere altrimenti realizzate, molte delle quali peraltro note, distribuite fra le chiese sarde. La serie indubbiamente più rara è data da dieci ritratti di papi: Aligi Sassu li realizzò, con altri dieci, a pastello intelato perché si trasformassero poi in quel grande mosaico che nobilita la chiesa cagliaritana del Carmine. I medaglioni con i volti dei pontefici sono del 1966, in grandezza pressoché naturale. Bozzetti (a olio) di opere importanti sono anche quelli di Antonio Mura (si rivedono in dimensioni e forme finite a Bonaria, a San Paolo, a Santa Rosalia in Cagliari, nel Seminario di Oristano e in altri luoghi di culto). Quello di Giuseppe Biasi (una
piccola processione di Sant’Efisio). E quelli di Salvatore Fara (Vincenziane di Sassari, Madonna della Mercede ad Alghero), del quale impressiona una Natività del ’66. E di Vittorio Calvi (chiesa di Sant’Orsola in Sassari) e di Antonio Corriga (una Deposizione per la pala di 40 metri nella parrocchiale San Giovanni a Fonni) e di Antonio Ruju (volto di Cristo, particolare di un’opera custodita a Lula). I quadri finiti sono di Filippo Figari (una splendida Deposizione, olio del 1947), di Bernardino Palazzi (studio per San Giovanni che prega , realizzato a Roma nel
’61), di Pietro Antonio Manca (tre oli di eccezionale suggestione), di Bussu (Golgota), di Masu (due grandi oli che rappresentano la salita al Calvario), di Atza (sacrale Omaggio a Raffaello, spatola). E naturalmente alcune processioni di Corriga, accanto a una bellissima drammatica lugubre processione di Valerio Pisano. Di Antonio Mura sono da osservare con attenzione tre xilografie, così da confrontarle con il Cristo deriso alla colonna che il maestro dell’incisione xilografica Mario Delitala realizzò nel 1928. Antonio Pala è presente con una Madonna delle Grazie, grande olio che compete con il suo “doppio” di abile scultore: un bassorilievo di gesso una maternità scolpita nel legno e un massiccio Cristo ligneo collocato per l’occasione all’ingresso della mostra. Ed
ecco Gavino Tilocca, che s’inserisce con tre bassorilievi: Adamo ed Eva in bronzo e argento, le Pie donne in ceramica, un Golgota bronzeo. Può darsi che qualcosa sia sfuggito. Ma ce n’è abbastanza per un’indagine sulle ierofanie dei nostri artisti di ieri e di oggi. Manca soltanto un melodico canto d’organo che accompagni le nostre reazioni di profani dinanzi alla rappresentazione del sacro.
Mauro Manunza